Nel Seicento nel Siracusano ci furono 50 mila vittime. Oggi i paesi dell’area sono un modello di sicurezza. Decine di pullman al giorno nei luoghi di Montalbano
Quando il sole comincia ad abbassarsi il Barocco del Val di Noto (mi raccomando, maschile) assume tutta la luce e la restituisce dorata e morbida, come se quei monumenti fossero prismi calcarei incantati. Percorro il corso principale di Noto accanto alla cattedrale di San Nicolò e poi volto a destra, in leggera salita, per scorrere con lo sguardo le mensole dei balconi del palazzo Nicolaci di Villadorata. Ipnotizzato dai grifoni e dalle sirene quasi dimentico che tutto questo è dovuto a un terremoto, anzi, al terremoto più forte che l’Italia intera abbia mai sofferto. Un sisma da cui, però, la Sicilia si è risollevata grazie a una politica accorta e lungimirante che l’ha fatta ripartire in poco tempo e bene. Un luogo visitato da milioni di persone da tutto il mondo, non solo per il mare e il Barocco, ma anche per la fiction italiana più famosa di sempre, il Commissario Montalbano, che è ambientata proprio qui.
Nel gennaio del 1693 un terremoto valutato (a posteriori) di magnitudo 7,5 Richter, più forte di quello di Reggio e Messina del 1908, distrusse il Val di Noto e Catania. Nel capoluogo ci furono 15 mila morti su quasi 20 mila abitanti. Cinquantamila vittime in tutto. Distruzione totale. I principi di Carafa si comportarono bene, non solo prestando soccorso, ma anche finanziando e ricostruendo nuove città secondo rigidi canoni antisismici. I lavori iniziarono nell’aprile dello stesso anno, quattro mesi dopo il sisma. Così risorsero Occhiolà, Caltagirone, Avola, Modica, Noto e altri centri minori. A Grammichele le vie sono larghe almeno dieci metri e le piazze sono concepite anche come centri di raccolta. La pianta della città è esagonale, con sei maggiori vie di fuga che conducono ad altrettante piazze minori rettangolari. A Noto i palazzi sono sempre più bassi di 15 metri e le mura sono imponenti. Dovunque impressione di solidità e grande bellezza. Scrive Gesualdo Bufalino: «Andate a Noto, datemi retta… questo è un luogo che se uno ci capita, resta intrappolato e felice, chi lo muove più».
In realtà i criteri di ricostruzione seguiti furono diversi. Alcune città (Noto, Grammichele e Avola) furono ricostruite ex novo in aree diverse. Altre, come la stessa Catania, in situ secondo i criteri antisismici dell’epoca. Altre ancora ricostruite sul posto e senza rispettare i criteri antisismici (Caltagirone, Siracusa, Modica). A queste si aggiunge Ragusa che, invece, fu praticamente sdoppiata. In tutti i casi, oltre alle vie larghe e alle case basse, si ricostruì alleggerendo i tetti e impiegando poderosi pilastri che si riconscono molto bene ancora oggi nelle piazze. Ripartirono anche le tonnare, già utilizzate dal tempo dei romani e poi spazzate via dallo tsunami seguente al terremoto. Gli stessi Nicolaci di Villadorata, ricostruttori di Noto, avevano rimesso in sesto le tonnare fisse, come quella di Marzamemi. Mi fermo a pranzo sull’ampia piazza lastricata di calcari bianchi che senza soluzione di continuità conduce alla “balata” da dove si tiravano su i tonni. I ristoranti di pesce, installati nelle vecchie case dei pescatori, sono assaliti dai turisti, una buona parte arrivata quaggiù per altri motivi. Che vengono alla luce quando mi sposto a Ragusa, in piazza, proprio sotto la chiesa.
Al ritmo di una decina di pullman al giorno, decine di migliaia di visitatori si accalcano verso il set del commissario Montalbano, fino al punto che il regista deve chiamare più volte il silenzio. Ormai non può mancare la visita ai luoghi della fiction tratta dai libri di Andrea Camilleri e Montalabano è diventato uno di famiglia, così come questi luoghi remoti la cui geografia immaginaria (Vigata non esiste) è stata ricostruita interamente aderendo al Val di Noto. Così il piccolissimo borgo della Marina di Ragusa, dove un tempo le case costavano qualche migliaio di euro, ha improvvisamente visto crescere alle stelle le sue quotazioni. E la villa famosa da cui Montalbano prende il largo con le sue celebri nuotate è visitabile a contingenti ristretti, quando non c’è set, per via degli alti numeri di turisti. Bar, ristoranti e trattorie ammanniscono menù alla Montalbano e Agatino Catarella (l’attore Luigi Russo), che è nativo di Ragusa, mi racconta, «di pirsona pirsonalmente», quanto è cambiata la sua città da quando è diventata a tutti gli effetti meta di questo nuovo turismo televisivo. Tutto a partire da un terremoto di tre secoli fa che è diventato occasione di sviluppo, di sperimentazione architettonica e di rilancio culturale.
La Stampa Mario Tozzi